
08 Lug Il licenziamento individuale del lavoratore nelle piccole imprese. Brevissimi cenni sulle casistiche giurisprudenziali e sui limiti imposti dal Decreto Cura Italia e dal decreto n. 34 del 19 maggio 2020
Pubblichiamo un commento a cura dell’ Avv. Solidea Vitolo per Diritto24 in tema di licenziamento individuale del lavoratore nelle piccole imprese.
1. LE DIVERSE FORME DI LICENZIAMENTO. CASISTICHE GIURISPRUDENZIALI.
In questo periodo di emergenza globale, sono sempre di più le aziende che, nonostante gli incentivi predisposti dal Governo, versano in una situazione di grave crisi economica. L’assenza di liquidità determinata dal lungo periodo di “stasi forzata”, nonché dalle spese connesse all’attuazione delle misure di prevenzione straordinaria imposte dal Governo, se da un lato non consente all’imprenditore neppure di acquisire i materiali necessari per il regolare espletamento dell’attività produttiva, dall’altro nega al lavoratore la possibilità di una retribuzione, con conseguente pregiudizio per ambo le parti.
Sennonché, al datore di lavoro in difficoltà, cui preme principalmente la sopravvivenza della propria impresa, si apre un unico scenario possibile: congedare il lavoratore!
Ma quando il licenziamento è consentito?
Nel tralasciare termini ed aspetti meramente giuridici, volendo essere la presente una celere lettura volta ad offrire una mera base per un’agevole comprensione dell’argomento, il licenziamento può essere definito come il recesso unilaterale del datore di lavoro subordinato.
La sua disciplina differisce da un punto di vista procedurale e sostanziale, nonché delle tutele accordate al lavoratore, a seconda della tipologia di contratto stipulato tra le parti (es. apprendistato, domestico, dirigenti, etc.) e in relazione alle dimensioni dell’azienda (fino a 15 dipendenti si parla di piccole aziende).
La materia, in generale, è regolamentata dal codice civile, agli artt. 2118 e 2119. Ad essa, tuttavia, si affianca la normativa specifica succedutasi nel tempo, tra cui si menziona la L. n. 604/1966, la L. n. 183/2010, la L. n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero) di modifica alla L. n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), il D. Lgs. n. 151/2015 e il D.Lgs. n. 23/2015.
Solitamente il recesso datoriale è conseguenza di una determinata condotta del lavoratore o di una situazione di fatto legata a vicende aziendali. Tuttavia in alcune ipotesi è consentito il recesso ad nutum, ovvero che non richiede alcuna specifica motivazione, come per i lavoratori assunti in prova, per i dirigenti, per gli sportivi e atleti professionisti, per i lavoratori domestici (colf e badanti) e per gli apprendisti al termine del periodo di prova, previo preavviso quando richiesto dalla legge.
Al di fuori di tale eccezionale previsione, il licenziamento per essere efficace deve fondarsi su un motivo legittimo o comunque socialmente giustificato.
Per semplicità espositiva si possono distinguere tre forme di licenziamento, le prime due dipendenti dalla condotta del lavoratore (c.d. licenziamento per Giusta Causa e licenziamento per Giustificato Motivo Soggettivo) e l’ultima, collegata a vicende aziendali (c.d. licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo).
Per le prime due ipotesi si parla anche di licenziamento disciplinare ed è intimato dal datore di lavoro per quei comportamenti del lavoratore che compromettano irreparabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto contrattuale. La differenza sostanziale tra le due risiede nella gravità della condotta del lavoratore che, nell’ipotesi della Giusta Causa, è talmente grave da non consentire neppure una prosecuzione provvisoria del rapporto lavorativo e che, pertanto, giustifica un recesso del datore senza alcun preavviso.
I comportamenti del lavoratore suscettibili di condurre ad un licenziamento per Giusta Causa possono consistere in inadempimenti di vincoli contrattuali o extracontrattuali. Sarà il datore di lavoro a valutare, in relazione al singolo caso concreto, se la gravità della condotta abbia irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario. Ciò può dipendere da diversi fattori quali la rilevanza della posizione del lavoratore all’interno dell’azienda (modello diseducativo per gli altri lavoratori), la modalità, l’intensità e l’intenzionalità della condotta, il danno arrecato, etc.
Si precisa che, affinché il licenziamento possa considerarsi legittimo non è necessario che le infrazioni del lavoratore siano multiple poiché anche un unico ed isolato episodio, di per sé importante, può costituire elemento di rottura dell’intuitu personae, tale da determinare il recesso immediato da parte del datore di lavoro. Si pensi al caso del rifiuto di un “ordine di servizio” considerato vessatorio, da parte di un dipendente della pubblica amministrazione con molti anni di anzianità lavorativa, accompagnato dall’assenza ingiustificata sul posto di lavoro per più giorni consecutivi. Orbene, la Giurisprudenza ha ritenuto sussistente, nel caso di specie, una forma di insubordinazione del lavoratore talmente grave da determinare il recesso del datore di lavoro, senza alcun preavviso (cfr. D. Lgs. n. 265/11; Cass. Civ., sent. n. 12806/2014; Cass. Civ., sent. n. 9486/2016).
Altre ipotesi di Giusta Causa di licenziamento, rinvenibili da alcune sentenze della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., sent. n. 14995/2012, n. 1813/2013, n. 6896/2018, n. 26023/2019; Cass. Civ., ord. n. 22636/2019), possono considerarsi: il ripetuto ed ingiustificato rifiuto del lavoratore di recarsi in trasferta, la diffamazione via e-mail o a mezzo social network del proprio datore, l’aggressione verbale e fisica attuata dal lavoratore all’interno dell’azienda, l’abbandono ingiustificato dal posto di lavoro da cui derivino pregiudizi per l’incolumità di altre persone o per la sicurezza dell’azienda stessa, assenze ingiustificate alla visita medica di controllo, utilizzo di strumenti aziendali per finalità proprie o accessi alla rete Web per scopi estranei all’attività aziendale, abuso del telefono cellulare per fini personali, falsificazione del certificato medico o simulazione della malattia, rivelazione a terzi di fatti, dati o segreti aziendali, svolgimento di attività concorrenziale, commissione di reati aziendali o connessi alla propria vita privata.
A tal proposito, i contratti collettivi di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi prevedono ipotesi tipizzate di condotte del lavoratore costituenti Giusta Causa di licenziamento a cui si può far riferimento ma che non sono vincolanti per il Giudice.
Si parla, invece, di licenziamento per Giustificato Motivo Soggettivo quando il lavoratore è inadempiente agli obblighi contrattuali ma la sua condotta non è così rilevante da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo. Ne consegue che il datore di lavoro ha l’obbligo di dare il preavviso. Rientrano in detta fattispecie: il rifiuto del lavoratore a svolgere mansioni di livello inferiore a parità di retribuzione, scarso rendimento imputabile al solo lavoratore, occultamento di fatti e circostanze relative all’uso illecito o sottrazione di beni di spettanza della società o ad essa affidati, stato di alterazione del lavoratore sfociante in atteggiamenti verbalmente aggressivi, omissione di informazioni rilevanti per l’azienda (cfr. Cass. Civ., sent. n. 12781/2005, n. 3125/2010, n. 20715/2013).
Infine, il datore di lavoro può recedere dal contratto di lavoro per ragioni legate all’attività produttiva, all’organizzazione aziendale, per scelte tecniche o economiche. Si parla in questi casi di licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo.
Esso è legittimo se “il riassetto organizzativo” è effettivo, ovvero fondato su ragioni realmente esistenti al momento del licenziamento e non solo pretestuoso. La scelta del dipendente da licenziare, inoltre, deve avvenire secondo correttezza e buona fede, nel rispetto dei principi di legge, previa considerazione di misure alternative (come ad es. adibire il lavoratore a mansioni inferiori) e nell’osservanza dei termini di preavviso. Si rammenti che l’onere probatorio circa il Giustificato Motivo Oggettivo che legittimi il licenziamento, in caso di impugnativa dello stesso da parte del lavoratore, è a carico del datore.
Le casistiche giurisprudenziali più frequenti in cui è stata ritenuta la sussistenza di un Giustificato Motivo Oggettivo di licenziamento sono: l’introduzione di nuove tecnologie e macchinari tali da richiedere la presenza in azienda di meno addetti con competenze specifiche, soppressione del posto di lavoro o del reparto a cui è addetto il lavoratore, sopravvenuta infermità del lavoratore che non consentono lo svolgimento regolare dell’attività lavorativa e impossibilità di adibirlo ad altre mansioni, scarso rendimento determinato dalle carenze e dalla mancata capacità e preparazione del lavoratore tali da determinare la perdita di interesse del datore alla ricezione della prestazione lavorativa, impossibilità sopravvenuta per carcerazione del dipendente, etc. (cfr. Cass. Civ., sent. n. 6710/2013, n. 20534/2015, n. 5447/2016, n. 16388/2017, n. 20750/2018).
2. IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO – IL C.D. “DECRETO CURA ITALIA”.
Tutto quanto innanzi premesso, come si atteggia l’istituto del recesso del datore dal contratto di lavoro alla luce dell’attuale emergenza epidemiologica da Covid-19?
Orbene, come ormai noto l’art. 46 del D.L. n. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia) ha disposto che:
“A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
Tale disposizione normativa, in sintesi, ha sancito:
– il divieto per le aziende di porre in essere procedure di licenziamento collettivo di riduzione del personale, a decorrere dal 17 marzo 2020 e fino al 16 maggio 2020. Il licenziamento collettivo o c.d. procedura di mobilità, è quella che il datore può adottare in presenza di due condizioni. La prima ricorre quando l’imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa Integrazione, ritenga di non poter superare la crisi; la seconda si verifica quando l’imprenditore che occupi più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro, intenda licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, o intenda cessare l’attività;
– la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo iniziate successivamente al 23 febbraio 2020, ma non ancora concluse;
– il divieto di licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo sino al 16 maggio 2020 e indipendentemente dal numero dei lavoratori. E’ risultata sospesa, altresì, la procedura di licenziamento, ex art. 7, L. n. 604/1966. Il divieto non ha riguardato i licenziamenti per motivi disciplinari, per raggiungimento del limite massimo di età lavorativa e per i casi di recesso ad nutum;
– la facoltà di procedere a dimissioni volontarie nel suddetto periodo.
Tuttavia, la Legge di conversione del Decreto Cura Italia, L. n. 27/2020, ha successivamente aggiunto al comma 1, primo periodo del summenzionato art. 46, le seguenti parole: “fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto”.
Di conseguenza, sono stati esclusi dal divieto di licenziamento collettivo i recessi relativi al personale subentrato in contratti di appalto.
3. IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO – IL NUOVO D.L. N. 34/2020
Il 20/05/2020, è entrato in vigore il nuovo D.L. n. 34/2020, il quale, oltre a riconoscere ulteriori misure di sostegno in favore delle imprese (artt. 24 e ss.) e dei lavoratori (artt. 66 e ss.), ha apportato modifiche all’art. 46 della L. 27/2020. Ed invero, l’art. 80 così recita:
“1. All’articolo 46 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: “60 giorni” sono sostituite dalle seguenti: “cinque mesi” ed è aggiunto infine il seguente periodo: “Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.”;
b) dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1-bis. Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purchè contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri nè sanzioni per il datore di lavoro.”
Pertanto, ad oggi, per effetto di suddetto decreto:
-il divieto di intraprendere procedure di licenziamento collettivo è prorogato fino al 16 agosto 2020;
-restano sospese le procedure conciliative obbligatorie presso la Direzione Territoriale del Lavoro per le imprese con più di 15 dipendenti che vogliano procedere a licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo, ex art. 7, L. n. 604/1966;
-è prorogato fino al 16 agosto 2020 il divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto per Giustificato Motivo Oggettivo, ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604;
-il datore che non abbia osservato il divieto di licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo nel periodo 17/05/2020-16/05/2020 può revocare il recesso purchè contestualmente richieda per il dipendente un trattamento di Cassa Integrazione in deroga. In tal caso il rapporto lavorativo viene ripristinato senza alcun onere o sanzione per il datore.
A tale ultimo proposito va precisato che qualora il datore di lavoro dovesse revocare il licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo, chiedendo per il lavoratore reintegrato il trattamento di Cassa Integrazione, quanto eventualmente già erogato dall’INPS a titolo di indennità di disoccupazione NASPI, sarà oggetto di recupero da parte dell’Istituto di Previdenza, a decorrere dalla data di efficacia del precedente licenziamento.
Inoltre, l’INPS, con la circolare n. 2261/Giugno 2020, ha chiarito che, l’erogazione delle indennità NASPI a favore dei lavoratori licenziati per Giustificato Motivo Oggettivo sarà effettuata con riserva di ripetizione di quanto erogato, nella ipotesi in cui il lavoratore, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, venisse reintegrato nel posto di lavoro.
Restano esclusi dal suddetto divieto, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo:
-i licenziamenti per Giusta Causa e quelli per Giustificato Motivo Soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare;
– i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;
– i licenziamenti per inidoneità sopravvenuta, quando non sia possibile adibire il lavoratore a mansioni alternative;
-i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova, quando il patto di prova risulti da atto scritto;
-i licenziamenti dei lavoratori domestici.