Economia circolare e quarantena economica: un’opportunità per ripartire

Pubblichiamo l’articolo a firma di Raffaele Rubino, Partner Rubino Avvocati e del Prof. Gerardo Bosco, Ceo di Bosco&Co e Docente di Planning and Strategic management all’Università La Sapienza di Roma, uscito su Diritto24

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La locuzione “economia circolare” sta gradualmente permeando il comune lessico socio-economico per alludere a una ormai diffusa cultura in Italia dell’economia del “riciclo” a sostegno di una concreta idea di sostenibilità ambientale e non solo.

Un economic model capace di garantire, secondo i più esperti, una crescita intelligente e inclusiva improntata al risparmio delle fonti energetiche non rinnovabili a vantaggio di un crescente impiego delle risorse rinnovabili, realizzabile attraverso un vero e proprio “riciclo industriale“.

Da tempo il tema dell’economia circolare è al centro del dibattito politico europeo. Già dal 2010 l’Unione Europea ha infatti posto come obiettivo strategico del piano Europa 2020 la protezione e il miglioramento della qualità dell’ambiente, facendosi portavoce di una strategia legata alla sostenibilità e allo sviluppo del sistema ambiente e delle dinamiche ad esso collegate. L’attuale quadro normativo vede impegnati gli Stati membri al recepimento, entro il 5 luglio 2020, di un “pacchetto economia circolare” comprensivo di ben quattro Direttive Ue finalizzate al reperimento delle risorse, alla produzione intelligente di beni per ridurre gli sprechi e la gestione dei rifiuti da essi derivanti (tutte del 2018 le Direttive UE nn. 849, 850, 851 e 852 sulla gestione dei rifiuti e la revisione dell’operatività delle discariche).

Del 2015 è poi un programma di sviluppo sostenibile confluito nella c.d. “Agenda 2030“, che costituisce un insieme di 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs), sottoscritto dai governi dei 193 Paesi aderenti all’ONU. Tra i vari obiettivi del programma, che ha visto impegnarsi in prima linea i governi per il miglioramento entro il 2030 della vivibilità del nostro pianeta, il n. 12 circoscrive l’analisi alle esigenze di economia circolare poichè si propone il fine di “Garantire modelli sostenibili di produzione e consumo“.

Il processo di normazione dell’economia circolare, tuttavia, non è di nuovo genere neanche per il contesto italiano. Infatti, nell’ottica degli obbiettivi di cui sopra, già con la riforma degli appalti pubblici (d.lgs. 50/2016) è stato previsto un obbligo in capo alle stazioni appaltanti di prevedere all’interno della documentazione progettuale di gara specifiche clausole, di cui ai Criteri Minimi Ambientali (CAM – disposti dal Ministero dell’Ambiente), che contribuiscano al conseguimento degli obiettivi ambientali di sostenibilità e riduzione dei consumi nella P.A. (i c.d. Green Public Procurement di cui all’art. 34 del Codice Appalti).

Sempre nel 2016, la Legge di Stabilità ha poi iniziato a gettare le basi principali a sostegno della Green Economy e dello sviluppo sostenibile.

Il quadro prospettato dall’UE, quindi, sembra assumere un indirizzo sempre più orientato alla gestione “vincolante” dell’impatto umano sull’ambiente. L’Italia in tal senso ha fatto propri i principi e criteri direttivi nell’adozione delle richiamate Direttive UE con la L. 117/2019 (Legge di delegazione europea 2018) e attualmente sono in corso i lavori presso il Ministero dell’Ambiente per l’adozione dei decreti legislativi di recepimento.

Nell’attuale scenario apocalittico caratterizzato dalla paralisi dei cicli produttivi costretti in “quarantena economica” per salvaguardare la salute dei cittadini dalla minaccia di un #Coronavirus di nuova generazione, il carattere rigenerativo della #CircularEconomy potrebbe rappresentare un’arma vincente per la ripresa del sistema economico europeo.

Ripensare in modo intelligente al sistema di produzione e di consumo è un’esigenza richiesta, in ultima istanza, alle imprese ma costituisce, al contempo, soprattutto un’opportunità per il miglioramento della gestione e della organizzazione interna, a sua volta più sostenibile per la vita dell’impresa stessa.

I riflessi positivi, che qui ci si limita al momento solo ad accennare, sono molteplici in termini di compliance aziendale visto che le esigenze di eco-sostenibilità ben si collocano nel più ampio quadro normativo nazionale improntato, a titolo esemplificativo, al rispetto e alla tutela dell’ambiente (TUA), alla sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro (d.lgs. 81/2002) e immancabilmente alla riduzione del rischio-reato ex d.lgs. 231/2001. Pertanto, l’opportunità bivalente per le imprese, di adottare un’organizzazione sostenibile ed essere compliant, è non solo da incentivare con l’adozione di puntuali e precise regole di settore ma, soprattutto, è un’opportunità da cogliere all’interno delle stesse imprese, la cui vision è proiettata all’adozione di modelli di bio-economia.

Una maggior spinta verso il riciclo dei propri materiali, nonché verso un’offerta proiettata a vendere i propri “prodotti” non come beni ma come servizi, consentirebbe di coniugare la stasi produttiva con la necessità di garantire la produzione e la “circolazione”, per l’appunto, dell’economia, scongiurando in tal modo una corsa all’aggressione del mercato al termine della quarantena, con il rischio di rimanere schiacciati dalle proprie stesse necessità di sopravvivenza commerciale.

Tanto il Decreto “Crescita” (D.L. 34/2019) quanto la Legge di Bilancio del 2019 (L. 145/2018, art. 1, commi 73-77) prevedono significativi incentivi all’acquisto e al riutilizzo di prodotti riciclati. In particolare, l’art. 26-del Decreto Crescita prevede incentivi per il riutilizzo degli imballaggi (abbuono del 25% sul prezzo degli imballaggi; l’art. 26-ter stabilisce delle agevolazioni fiscali (credito d’imposta fino a 10.000 euro) sui prodotti da riciclo e riuso destinati all’attività di impresa o professionale, a valere dal 2020. Le misure previste dal DL Crescita non sono, però, cumulabili con le misure previste dalla legge di bilancio richiamata che, ai commi 73-77 dell’art. 1, prevede per le imprese che acquistano prodotti realizzati con materiali riciclati, un credito di imposta per gli anni 2019 e 2020 nella misura del 36% delle spese sostenute (fino a 20.000 euro).

In questo momento storico una economia circolare interna potrebbe preservare ciò che resta e che non può essere – attualmente- commercializzato, attraverso il totale riciclo delle risorse economiche già impiegate e non immesse sul mercato. Si pensi all’emergenza del mancato raccolto delle primizie lanciato da Confagricoltura. Nell’attesa che il Governo adotti misure volte all’impiego di personale nelle campagne, nel rispetto delle norme sanitarie, i prodotti, piuttosto che mandati al macero, potrebbero essere impiegati in procedure innovative di produzione energetica; in tal modo, non solo si scongiurerebbe una perdita economica, ma se ne ricaverebbe un vantaggio a beneficio dell’intera collettività.

Al fine di evitare uno statico flusso in linea retta di entrata e uscita di risorse economiche è necessario, quindi, che le autorità locali, regionali e nazionali si adoperino maggiormente per realizzare un quadro normativo (oltre a quanto previsto dai Green Public Procurement sopra richiamati) che miri a garantire uno stravolgimento dei modelli economici fino ad ora impiegati, al fine di stimolare l’attività sostenibile in tutti i settori imprenditoriali.

Cambiando prospettiva e osservando la questione da un punto di vista più operativo, il modello della circular economy potrà avere successo se collocato all’interno del più ampio approccio sistemico vitale (viable systems approach). Le imprese sono dei sistemi vitali che interagiscono con altri sistemi vitali (altri operatori economici, amministrazioni pubbliche, sistema finanziario, etc.), l’efficacia e l’efficienza di tali relazioni dipendono dalla consonanza strutturale (capacità operativa di interagire) e dalla risonanza sistemica (convergenza sulle finalità).

Seguendo questo approccio, l’economia circolare può essere vista come strettamente connessa al concetto di supply chain management, che colloca ogni singolo operatore economico all’interno di una filiera (supply chain appunto), in cui si realizzano interazioni tra fornitori, operatori logistici, clienti, operatori finanziari, finalizzate alla costruzione, nei vari stadi della filiera, del valore aggiunto del prodotto – servizio finale.

Il supply chain management, muovendosi nell’ambito della gestione delle suddette interazioni, ricopre un ruolo di stimolo rilevante per l’economia circolare, potendo rappresentare un modello di riferimento per la gestione delle relazioni circolari all’interno delle filiere interessate dal c.d. “riciclo” dei materiali. Nell’ambito di questo frame work di riferimento, le tecniche di supply chain finance rappresentano senz’altro soluzioni coerenti con una gestione integrata delle relazioni nelle filiere “circolari”, e consentono di ottimizzare il working capital attraverso l’adozione di strumenti finanziari basati sulle nuove tecnologie, sulla condivisione delle informazioni e sull’integrazione dei processi operativi.

In conclusione, sebbene l’economia circolare sia considerata un concetto ancora giovane, serba già in sé il potenziale di un’economia industriale rigenerativa in grado di migliorare e ottimizzare in modo attivo i sistemi mediante i quali opera.

I numeri derivanti dall’economia circolare, che contano circa l’1,5% del valore aggiunto nazionale (fonte: Ansa), sono incoraggianti in quanto assimilabili a quelli derivanti dal settore energetico e settore dalla produzione tessile; dati statistici dimostrano come l’Italia sia uno dei paesi precursori della circular economy, con una spiccata inclinazione al riciclo industriale.

Proprio in questo momento, in cui il mondo si trova ad affrontare una triplice crisi sistemica di tipo ambientale, sanitaria ed economica, sarebbe opportuno che lo Stato avesse il coraggio di affrontare le stesse adottando un’unica strategia trifacciale: utilizzare gli aiuti europei, di cui tanto si parla, condizionandoli all’adozione di una politica economica spiccatamente incentivante, con forti iniezioni di stimoli fiscali che consentano di concentrare gli investimenti ambientali e sanitari in un arco temporale circoscritto.

I risvolti derivanti dall’adozione delle strategie sopracitate potrebbero sostanzialmente essere: da un lato, quello di essere catapultati in un futuro in cui la cura dell’ecosistema e della salute riequilibri il rapporto tra gli uomini e il pianeta che li ospita e, dall’altro, quello di aver creato un ciclo di investimenti straordinari che facciano schizzare l’economia a livelli senza precedenti innescando il ben noto moltiplicatore keinesiano.

 

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